La politica prende a prestito il termine tecnico e le chiama “opere improprie”. Forse suona meglio e aggiunge una leccata di maniera al già ributtante politichese che abbiamo sentito anche ieri dal ministro Galletti che ha recitato la parte già messa in scena dai predecessori. La gente li chiama più semplicemente “tappi”. Come quelli che urlano vendetta realizzati dalla forsennata e miope progettualità olbiese capace di disseminarli lungo l’alveo dell’incolpevole Seligheddu. Ponti ad arcate con i piedi dentro l’acqua, strade, piloni e tetti di cemento così bassi da ridurre la luce necessaria alla corrente, a piccoli spiragli.
Ad Olbia la politica non crea i ponti. Certamente no. Al contrario, specialmente quando le cose vanno male, si assiste ad una frettolosa e sistematica alzata di mani in ragione del dogma “noi non siamo tecnici”. Ma la politica, quelle che oggi definisce opere improprie le ha autorizzate e pagate con i soldi nostri. I tecnici vendono, anche a caro prezzo, i loro progetti, la politica li compra. E come avviene anche nei più piccoli mercatini di quartiere, è la massaia che controlla la frutta per non farsi rifilare dal commerciante quella guasta.
Negli anni la politica di centro sinistra ha dato il via ai piani di risanamento mentre quella di destra è stata capace di sotterrare i ponti come quello sul Gadduresu di corso Vittorio Veneto, manco a dirlo, gemello e sulla stessa direttrice du quello demolito due giorni fa dal sindaco di Olbia Gianni Giovannelli. Resta il fatto che quei tappi sono ancora la. Mentre le vasche di laminazione sono già finanziate con 16 milioni, il povero Seligheddu continua a fare gli slalom tra i tappi. Un po’ come realizzare un attico superlusso su una palafitta. Nel video in fondo all’articolo vi portiamo in giro tra “le opere improprie” sul Seligheddu.