OLBIA. Anche per l’anno scolastico 2024/2025, le prove INVALSI sono in fase di somministrazione in tutte le scuole italiane, dalla primaria alla secondaria di secondo grado. Strumento ormai consolidato nel sistema scolastico, le INVALSI nascono per monitorare su scala nazionale il livello di apprendimento degli studenti. Ma a fronte della sistematicità della loro applicazione, cresce la necessità di una riflessione sul loro reale impatto didattico.
La struttura delle prove – quesiti a scelta multipla che non incidono sulla valutazione finale – ha prodotto nel tempo un effetto distorsivo. In molte scuole secondarie gli studenti partecipano senza alcun coinvolgimento, spesso consegnando i test in pochi minuti con risposte casuali. “È difficile spiegare a un ragazzo perché dovrebbe impegnarsi in una prova che non incide minimamente sul suo percorso”, afferma C.I., docente di scuola superiore.
Un comportamento, questo, che vanifica lo scopo stesso della rilevazione. “Ci troviamo con risultati peggiori rispetto a quelli ottenibili tirando a caso – spiega il professore –. Questo è il segnale più chiaro di un sistema che non funziona e che, invece di stimolare, allontana gli studenti dalla cultura della valutazione”.
Nella scuola primaria, dove il senso di responsabilità è ancora guidato dall’insegnante, si riesce in parte a contenere il problema. Ma nei cicli successivi, il disinteresse si trasforma in prassi. Eppure, paradossalmente, i dati raccolti vengono spesso utilizzati per trarre conclusioni sulla qualità dell’insegnamento e orientare le politiche scolastiche.
Il rischio è quello di alimentare una spirale pericolosa: ridurre la complessità della didattica per inseguire una media irrealistica. “Questa omologazione non serve agli studenti – aggiunge il docente –. Si abbassa l’asticella per evitare che qualcuno resti indietro, ma il risultato è che si trascina giù tutta la classe. È un livellamento verso il basso che danneggia tutti”.
Da più parti si invoca una revisione strutturale dello strumento. Una delle proposte più discusse è quella di integrare le INVALSI nel percorso valutativo dell’anno scolastico, rendendole verifiche interperiodali che incidano concretamente sul successo formativo dello studente. Solo così, si sostiene, si potrà restituire senso e valore alla partecipazione.
“Le INVALSI devono essere uno stimolo, non un obbligo vuoto – afferma il professore –. Se vogliamo che gli studenti le affrontino con serietà, dobbiamo anche riconoscerne l’importanza nei percorsi scolastici”.
Infine, viene rilanciato un appello chiaro: coinvolgere i docenti nelle scelte educative. “Prima di imporre qualsiasi nuova metodologia, bisogna ascoltare gli insegnanti. Senza il loro contributo, nessuna riforma può funzionare”.