OLBIA. “Ogni giorno quando vado a letto ringrazio il Signore e quando la mattina apro gli occhi faccio la stessa cosa”. Emanuele Graziano Carboni, fantino con la passione smisurata per il mondo dei cavalli, oggi ha 64 anni ma 14 anni fa, il 27 giugno 2008, ha seriamente rischiato di passare a miglior vita a causa di un gravissimo incidente accaduto in campagna mentre allenava un cavallo da corsa.
“Ricordo ogni istante di quel momento. Il cavallo era potente e richiedeva tutta la mia attenzione e il mio impegno. A un certo punto ha scartato improvvisamente e io non sono riuscito a evitare un cancello in ferro. Ho dato una testata violentissima e ho subito avuto la sensazione di avere il cranio aperto. Ma non ho perso i sensi. Avevo sangue dappertutto e sono andato a cercare aiuto. La moglie di un amico quando mi ha visto stava per svenire. In effetti tutto quel sangue che esce dal cranio spaccato non doveva essere un bello spettacolo”.
A quel punto la donna chiama il marito: “Gavino Saba, di Contras. Appena mi ha visto non ha perso tempo. Mi ha caricato in macchina e mi ha portato al Pronto Soccorso. Da lì a poco sono entrato nel tunnel del coma farmacologico”.
Da quel momento Emanuele affronta la degenza in prognosi riservata. Ma a noi, a sorpresa, comincia a raccontare cose che non ci aspettavamo. “Vedevo e sentivo tutto. E avevo perfino la consapevolezza di essere in coma. Non sentivo il mio corpo e non riuscivo a muovere neanche un dito ma ero lucidissimo. Pensi – dice sorridendo perché consapevole di raccontare una cosa difficile da accettare – che ho assistito alla mia estrema unzione! Proprio così. Ho recitato nella mia mente l’Ave Maria insieme al prete e poi lui ha detto ‘riposa in pace’. Addio, allora sto morendo, ho pensato. Ma non era così”.
Emanuele Carboni aggiunge dettagli e racconta di aver visto se stesso nel letto dell’ospedale pieno di tubi e fili attaccati ai macchinari. “Ero fuori dal mio copro e vedevo me stesso. Non soffrivo né avevo sentimenti di pena, di dolore o di tristezza verso me stesso. Mi guardavo e basta. Ero tranquillo”.
Poi aggiunge un particolare che a dir poco possiamo considerare una coincidenza. “Oggi è 2 agosto. Io sto parlando con lei e certamente sa che oggi è l’anniversario della strage di Bologna. Il 2 agosto del 1980 morirono 85 persone in quell’attentato che colpì la stazione centrale. Ecco c’è qualcosa mi lega a quella tragedia. Durante il coma, rimasi in quello stato per cinque giorni, vidi come in un sogno realistico un signore che mi diceva:
‘Sono un turista di Bologna morto nell’attentato della stazione, ma tu qui non ci fai niente. Vattene via, passa da quella strada – disse indicandomi un sentiero ma in quel momento vedevo me stesso nell’angolo del reparto di rianimazione e risposi: “Ma dove vado e poi come faccio ad muovermi, in più mi manca anche un braccio. Tenga conto – dice riportandomi alla realtà – che per il colpo ricevuto durante la riabilitazione in principio non sentivo più tutta la parte sinistra del mio corpo, ancora oggi non articolo benissimo la mascella sinistra quando parlo”.
Eravamo rimasti al buio: “Si, era tutto buio pesto ma improvvisamente ero di nuovo nel mio corpo e camminavo tentoni cercando appoggi con le mani in avanti ma non vedevo e non sentivo nulla. Avevo la sensazione di muovermi dentro un tunnel. Poi ho visto chiaramente di fronte a me un muro in pietra dal quale sbucava una piccola lucina. Man mano che camminavo in maniera più sicura quella luce diventava, poco alla volta, sempre più grande, fino ad avvolgermi completamente. In quell’istante ho pensato di essere arrivato all’uscita e solo allora ho parlato e ho sentito la mia voce. Ero uscito dal coma”.
Emanuele, carattere allegro e positivo, fisico talmente asciutto che il grande tatuaggio di un cavallo nel cuore, a suggellare la passione della sua vita è disteso su un fascio di nervi e muscoli senza alcuna sporgenza di grasso.
“Si, a parte la testa – dice mentre si leva il cappellino per mostrarmi una ferita rimarginata longitudinale lunga almeno 30 centimetri -, sono abbastanza in forma. Peso 50 kg!”. E poi parla della sua famiglia, dei nipotini e con orgoglio aggiunge di avere due figli meravigliosi. “Uno vive e lavora a Milano ed è ingegnere meccanico”.
E chiude: “Quando racconto queste cose, ma ne ho vissute tante altre in quei cinque giorni di coma, mi dicono, come allora, che è stato l’effetto dei farmaci e delle cure che mi somministravano. Però sappia che non tutti i medici la pensano così. Quando sono andato a Oristano al centro di riabilitazione Santa Maria Bambina, lo psichiatra Borsotti mi ha detto: “Lei non abbia paura del giudizio degli altri. Racconti serenamente quello che ha vissuto”.
“Io, come ha visto, lo faccio ma posso anche dire con serenità che da quel momento la mia vita è cambiata in meglio. Non sono un bigotto ma ringrazio ogni giorno il Signore per tutto quello che mi dà. Lo ringrazio quando vado a letto per la giornata trascorsa e lo ringrazio la mattina per avermi regalato un nuovo giorno da vivere pienamente”.