Raccontare le peripezie delle “casacche bianche” nel campionato di Serie D, dopo otto anni di onorata militanza nella terza categoria nazionale, è un po’ come cercare di mettere ordine in un cassetto pieno di vecchie foto, cose inutili e promesse non mantenute: non si sa mai da dove cominciare.
Per non rischiare di perdersi subito, eviteremo di discutere sul perché la Swiss Pro (compagine svizzera che detiene il 70% delle quote dell’Olbia Calcio) abbia deciso di gettarsi nel mondo del calcio senza avere nemmeno un’ombra di esperienza nel settore.
E pensare che il vecchio presidente Alessandro Marino, al momento di passare il testimone, aveva speso parole al miele per i nuovi acquirenti svizzeri. “Io e i miei soci, dopo un lungo confronto con numerosi soggetti italiani e stranieri, abbiamo scelto di aprire il capitale a SwissPro che ci ha pienamente convinto grazie al suo approccio innovativo e dinamico, in linea con il nostro modo di pensare e la nostra strategia di fondo”, dichiarava con l’entusiasmo di chi sembrava aver trovato la pietra filosofale del calcio moderno.
Ma, si sa, le promesse nel calcio sono come i rigori: tutti dicono che sono facili da mantenere, finché non arriva il momento di tirare. Così, restando nel magico mondo delle dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano, ricordiamo anche l’appassionato intervento di Benno Raeber durante una conferenza stampa ad aprile dello scorso anno: “Abbiamo due progetti, uno è lo stadio e l’altro è la squadra di calcio, per quest’ultima abbiamo i mezzi finanziari necessari per andare avanti tranquillamente”.
Fatta questa premessa ci addentriamo nell’ultima stagione partendo da un punto più “solido”: il famigerato ripescaggio orchestrato dall’avvocato Chiacchio nel luglio 2024. Il resto, come dicono i nostalgici del cinema, è storia… e che storia!
È il 25 luglio 2024 quando l’Olbia Calcio – club con 120 anni di storia sul groppone – riceve la notizia tanto attesa: la squadra è riammessa in Serie D dopo l’esclusione per via di una documentazione di iscrizione che definire “farlocca” è un eufemismo. Finalmente la società può tirare un sospiro di sollievo, dopo la mancata iscrizione arriva il ripescaggio ma, ironia della sorte, la prima mossa dopo questa vittoria legale è degna del miglior manuale di autolesionismo.
Ezio Mulas, silenzioso ed efficace factotum del club, l’uomo che aveva lavorato instancabilmente per il ripescaggio, viene inspiegabilmente convocato in sede… per essere accompagnato all’uscita. Licenziato? Liquidato? Archiviato? E il tutto, si mormora, senza tanti ripensamenti: semplicemente un “grazie” e un simbolico “piatto di lenticchie”. Come a dire: “Abbiamo vinto grazie a te, ma ora arrangiati”.
Se questo doveva essere l’inizio di una nuova era per l’Olbia, beh, è un inizio decisamente in salita.
Dopo la vittoria sul filo del rasoio per il ripescaggio e la sciagurata decisione di separarsi da Mulas, la società si rimbocca le maniche – o almeno ci prova. L’incarico di costruire la squadra viene affidato a Ninni Corda, uomo di calcio che si ritrova a fare i conti con un ritardo clamoroso: il ritiro precampionato ad Arona inizia con appena dodici calciatori disponibili, giusto un numero sufficiente per giocare una partitella a calcetto.
Il tecnico Marco Amelia si ritrova in una situazione surreale: mentre altre squadre già si preparano per la Coppa Italia di Serie D, lui è ancora lì a cercare di mettere insieme i pezzi. Ma quando il mercato di agosto è ormai agli sgoccioli, si sa, non restano altro che le briciole. Tuttavia, servono giocatori per completare la rosa, Ninni Corda fa quello che può, ma a quanto pare i soldi sono finiti.
Il campionato inizia e, dopo quattro giornate, l’Olbia si ritrova con un solo punto in classifica e un’umiliazione che si taglia a fette. Risultato? L’esonero del tecnico Marco Amelia, campione del mondo nel 2006, ma evidentemente poco fortunato visto che ha in mano una squadra ancora alla ricerca dell’amalgama. La squadra intanto viene affidata all’allenatore in seconda, giusto il tempo di fare un giro di giostra, prima che entri in scena Lucas Gatti, un argentino pieno di “garra” e buone intenzioni.
Gatti, però, dura poco più di un mese, cinque partite, due pareggi, una vittoria e due sconfitte: si dimette per motivi personali, anche se le malelingue parlano di dissapori con la proprietà. E così si va avanti: nuovo giro, nuova corsa. Arriva Ze Maria, un uomo di calcio d’esperienza, che prende in mano la squadra cercando di risollevare un gruppo ormai psicologicamente a pezzi.
In questo frangente, come un fulmine a ciel sereno, anche il consulente Ninni Corda viene sollevato dall’incarico: inizialmente considerato il pilastro della rinascita, si trasforma improvvisamente nel capro espiatorio della situazione.
Nel frattempo, succede di tutto. Luca La Rosa, capitano e bandiera del club, viene messo fuori squadra senza troppi complimenti insieme ad altri due compagni calciatori (Anelli e Santi). Sembra di stare su Scherzi a Parte. La Rosa fuori per scarso rendimento nonostante avesse giocato l’ultima partita con 38 di febbre? Sembra davvero un mistero buffo ma è proprio così.
Il capitano rescinderà poi il contratto accasandosi nel campionato di Eccellenza e vincendo il torneo con il Budoni.
Il tutto mentre i giocatori passano le feste natalizie senza stipendio: tre mesi di arretrati e un Natale col portafoglio vuoto. Gli emolumenti verranno poi pagati a gennaio, grazie a una fideiussione recuperata e a un misterioso bonifico di un mecenate turco.
Ah, già, il mecenate turco! Si tratta di Murat Ylmaz, che arriva ad Olbia sfoggiando una sgargiante giacca bianca in linea con i colori sociali e promettendo sogni di Serie B. Gli appassionati ci credono, ma presto i ritardi nei pagamenti si ripetono, diventando quasi un cliché.
Ze Maria ci prova ma serve qualità in campo e quando tutto sembra perduto, ecco l’arrivo dei rinforzi: Ragatzu, Biancue Buschiazzo. Vecchie conoscenze e volti nuovi, ma con una qualità indiscutibile. Grazie al loro apporto, unito a quello degli altri e al lavoro del tecnico, la squadra riesce finalmente a trovare un po’ di continuità. Il gioco migliora, i risultati arrivano e l’Olbia riesce a salvarsi all’ultima giornata, chiudendo una stagione che definire turbolenta è un gentile eufemismo.
Questa storia dell’Olbia Calcio, fatta di alti, bassi, ritardi negli stipendi e allenatori che si avvicendano come in un talent show, è un perfetto esempio di come il calcio possa essere tanto una passione travolgente quanto un disastro organizzativo.
Quanto riportato rappresenta il racconto di un percorso intenso e non privo di difficoltà, ma ciò che accomuna i tifosi, gli appassionati e chi scrive è un sincero desiderio di vedere questa squadra tornare a brillare. Finché le osservazioni restano costruttive, si può intravedere quell’affetto che non si spegne mai.
Il passato è ben noto e visibile a tutti, ma il presente e il futuro rimangono pagine ancora bianche, pronte per essere scritte con impegno, passione e magari un pizzico di fortuna, ma serve chiarezza da parte della dirigenza, soprattutto occorre fare conoscere lo stato di salute della società e i piani futuri perché Olbia (dal greco Olbios città felice) accoglie tutti e merita rispetto.