Olbia 5 novembre 2025 – “Cinzia Pinna non doveva morire e se è morta, se non c’è più, è colpa di quello che ancora non abbiamo fatto e che dobbiamo fare”. Con queste parole Rosalba Castelli, che si definisce “artivista viandante” – termine che unisce le parole artista e attivista, e sottolinea il suo cammino itinerante in nome dell’arte e dell’impegno civile – ha spiegato il senso della sua missione, approdata oggi all’Istituto superiore Deffenu di Olbia per una nuova tappa del progetto “Orme d’ombra”.
Castelli, accolta dal preside Stefano Stacca, ha donato alla scuola un nastro ricamato da una donna di San Giovanni Suergiu con il nome di Cinzia Pinna, brutalmente uccisa a Conca Entosa, in comune di Palau, lo scorso settembre. Un secondo nastro, realizzato da una donna di Ulassai in memoria della giovane di Castelsardo, sarà donato in forma privata alla sua famiglia. “Sono qui per parlare con ragazze e ragazzi di ciò che possiamo fare insieme per prevenire la violenza di genere – ha detto –. Prevenirla attraverso il dialogo, l’informazione e la formazione. La nostra voce deve unirsi alla loro per fare luce su un problema che richiede riflettori sempre accesi, non solo quando assistiamo ai femminicidi”.
Il cammino di Rosalba Castelli è iniziato due mesi fa e ha già attraversato gran parte dell’Isola. Con sé porta 170 nastri, ognuno con il nome di una donna uccisa, da Giulia Cecchettin a oggi, oltre ai nomi e cognomi delle vittime sarde. I nastri vengono ricamati in un laboratorio del carcere femminile di Torino e da una rete di donne che, in tutta l’Isola, contribuisce al progetto.
Durante la tappa olbiese, Rosalba Castelli ha anche visitato il centro antiviolenza di Prospettiva Donna, dove ha incontrato la presidente Patrizia Desole. Nei locali di via Delle Salicornie sono stati appesi anche i nastri dedicati a Teresa Sartori e Luisa Marconi, entrambe uccise dai propri figli. “Il cambiamento deve cominciare dalle parole – ha detto Rosalba Castelli –. Dobbiamo eliminare frasi e atteggiamenti come i complimenti non richiesti, il victim blaming o l’idea che una donna se la sia cercata perché aveva la gonna troppo corta. È un lavoro lungo, che parte da ciascuno di noi, dal rifiuto e dal dissentire quando ci troviamo di fronte a situazioni non più accettabili”.
Con lei, il messaggio che attraversa la Sardegna è chiaro: la lotta alla violenza passa dall’educazione, dal linguaggio e dal rispetto reciproco. “Dobbiamo destrutturare un problema culturale enorme. Ogni gesto, ogni parola può contribuire al cambiamento”.
































