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Olbianova

Primo giornale online di Olbia

Quanto era grande Radio Internazionale ai tempi di Cesare. Una piccola storia che non si deve dimenticare.

24 Dicembre 2018 ore 4:28 di Mauro Orrù   

Cesare Peruzzi in una foto concessa a Olbianova da Leo De Turco

A Cesare Peruzzi. Mentre in città i pionieri delle Radio libere nate nella prima metà degli anni ’70 da Radio Olbia a Radio Tele Olbia e Radio Centrale (le altre vennero dopo) si contendevano ascolti inimmaginabili ai giorni d’oggi, nel 1978 un’emittente misteriosa cominciava a trasmettere musica con una pulizia di suono mai sentito prima. Per diversi mesi non si sentì altro. Solo musica (la migliore) e uno stacchetto destinato ad entrare nella leggenda: il rumore di un fiammifero che si accendeva e una voce profonda come il buio: «Radio Internazionale, come i lupi nella notte». Era la Radio di Cesare Peruzzi, ma lo scoprimmo qualche tempo dopo.

Lino Memoli e Marcello Del Giudice, di Golfo Aranci furono i primi «indigeni» a entrare in contatto con quella Radio tanto misteriosa quanto apparentemente inarrivabile. Nessuno dei due parlava ai microfoni. Si occupavano di cablaggi, piatti, amplificatori e di tenere in vita il primo ponte di trasmissione a valvola dalla potenza impressionante: 1 KW montato dal suo costruttore, il grande Zumbo (così si faceva chiamare). Il ponte fu collocato sulla selvaggia cima di Monte Moro. Non c’era neanche energia elettrica tanto che, insieme al guru dell’alta frequenza, «apprendista stregone» di Zumbo, Mario Baleani, a Serafino il tassista factotum e lo stesso Cesare, andavano su e giù per caricare con il gasolio il gruppo elettrogeno che alimentava il trasmettitore.

Cesare Peruzzi, figlio della «Roma bene» intelligente, geniale e affascinante, quanto problematico per questioni mai chiuse definitivamente con la droga, era stato confinato a Cannigione. Lì doveva stare. Obbligato a reinventare la sua nuova vita lontano dai vizi della capitale e dalle sue mille tentazioni. Un recinto dorato che la mamma Anna Buratti gli aveva reso irresistibile prima con una Radio tecnologicamente avanzata e poi, un anno dopo nel 1979, con una TV (TCS). Imprese molto costose, ma per quella bella e ricca signora dagli occhi azzurri non erano altro che un investimento sulla vita dell’adorato figlio. Ogni istante della sua vita era indirizzato a lui.

Con Cesare, tono morbido, suadente e privo di inflessioni, cominciarono a squarciare la cortina di mistero le prime voci come quelle di Maurizio Lazzara (noto Maurizio Self Service), Franco Derosas (noto 101), Vanni Sanna e molto modestamente, la mia. Tutti a «giocare» con dischi d’importazione da far girare sui piatti a cinghia Harrys. I primi a partenza rapida che abbia mai visto. E così mentre da Roma, Emilio Levi, Antonella Giampaoli e Oreste Chimenti, registravano e spedivano a Cannigione le trasmissioni da inserire nel palinsesto dal lunedì alla domenica, la Radio diventò sempre più potente, matura e soprattutto incontrastata. C’erano tante Radio locali ma Radio Internazionale era una spanna più su.

Era composta fondamentalmente da due regie autonome e si trasmetteva 24ore su 24. Nell’epoca della musica analogica non c’erano scorciatoie. Il tempo tecnico era scandito dalla durata dei brani e le registrazioni duravano esattamente quanto il programma. Da una parte si andava in diretta, dall’altra si registrava con i Revox B77. Si entrava al mattino con signor’Anna che faceva il caffè per tutti (chi arrivava in ritardo lo beccava scaldato) e si usciva la sera tardi. Musica, parole e stacchi. Niente informazione. Gli obblighi di legge arrivarono parecchi anni dopo.

Se non si andava in diretta, si stava in regia. Se non si stava in regia ci toccava registrare la pizza (il bobinone) per la notte. Tre ore ininterrotte ad alta velocità da un lato, e tre ore dall’altro. Una volta che partiva le registrazione non potevi più allontanarti. Non c’erano tagli né montaggi. Quando si premeva PLAY/REC si partiva e si finiva tre ore dopo in sfumata, prima della coda bianca. Due pezzi e uno stacco, e niente pubblicità. Quando la sera si finiva con la diretta, si mandava in onda la «pizza» e si tornava a casa. Cesare chiudeva la Radio ed entrava nel portone accanto di casa, e noi in macchina, per trenta chilometri. Un gruppo a Olbia e l’altro a Golfo Aranci.

Si andava avanti così. Tutti i giorni. Eravamo un’affiatata macchina da guerra. Niente era lasciato al caso. Noi speaker avevamo perfino preparato una registrazione con circa un’ora di programma generico: Sigla, buongiorno a tutti, bentrovati su Radio Internazionale ecc. La registrazione serviva nel caso in cui avessimo previsto di arrivare in ritardo. «Mi avvertite – aveva detto Cesare  -. Io faccio partire il programma poi appena siete qui entrate in scia in diretta»

Una mattina dei primi di febbraio del 1979 pioveva come Dio la mandava. La strada Olbia – Arzachena era viscida. Non ero affatto in ritardo, non lo ero mai stato. Ero partito come sempre alle 7:15 da Olbia e alle 8:00 avrei aperto il programma di due ore dalla regia n.1. La mia Mini Minor usata andava che era un portento. Troppo. Soprattutto in quella curva nei tornanti dopo il cementificio quando slittò di coda e si arrestò solo contro una di quelle grandi e dure pietre miliari a bordo strada. Per anni mi rimase in mente quel violento rumore di vetri in pezzi.

Uscii con le mia gambe ma non stavo in piedi. Qualcuno mi raccolse e mi portò da un medico di Arzachena che chiamò immediatamente un’ambulanza. A sirene spiegate arrivò a Olbia e fui ricoverato d’urgenza all’ospedale.

Intanto Cesare, negli studi della Radio, non vedendomi arrivare, malgrado non lo avessi avvertito, alle 8:00 in punto fece partire il programma. Dopo una decina di minuti chiamò casa per sapere di me e mamma rispose: «Mauro è in diretta, lo sto ascoltando…» E quando Cesare le spiegò del programma registrato, le venne un colpo. In un attimo, come succede solo alle madri, capì che avevo auto un incidente e quell’ambulanza che aveva sentito a sirene spiegate un quarto d’ora prima (abitavamo a meno di 100 metri dall’ospedale) trasportava il figlio. Senza attendere conferme si presentò all’ospedale e ne uscì con me 35 giorni dopo.

Diagnosi: due vertebre cervicali sub-lussate (IV e V) con incombente possibilità di paralisi a braccia e gambe se solo avessero provato a spostarmi dal letto. Ma fui graziato. Degenza in ospedale: 35 giorni di trazione cervicale a letto, immobile a pancia in su, con una fascia al collo legata a un blocchetto sospeso alla testata (la prima alluvione di Olbia me la raccontò mamma dalla finestra della mia stanza mentre Radio Internazionale, con i quotidiani saluti degli amici, mi faceva compagnia). Cura a casa: 60 giorni di minerva gessata (circa 7 kg di gesso dalla testa alla vita), 30 giorni di collare, 30 giorni di riabilitazione naturale. Cominciai a riprendere in mano la mia seconda vita d’estate. Da allora ringrazio ogni rara volta che lo incontro il mio santo salvatore, dottor Efisio Musu. 

A 19 anni suonati ripresi a frequentare Radio Internazionale. Noi, ultima generazione analogica trasmettevano in diretta giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, il mito della Radio goliardica  segnava il passo verso il professionismo. Le prime centomila lire al mese (ne spendevamo novanta per andare e venire) si trasformarono in più adeguate buste paga e inevitabilmente la Radio lasciò il passo alla TV. E tutti noi lasciammo la Radio per occuparci della TV. Così voleva Cesare, così facemmo a partire dalle tre annunciatici: Marina Ogno, Laura Orrù e Bianca Chighine.

Lui inventò la prima Radiovisione della storia. Il programma «In diretta con voi» con le dediche, andò contemporaneamente in diretta TV. Fu un successo pazzesco. Erano già arrivati altri tecnici come Alberto Mingardi e Giovanni Azara, mentre giunsero altri DJ che diventarono presto veri personaggi come Giuseppe Baffigo e il più compassato e maturo Paolo Petriccioli. Ricordo le centinaia di lettere che aprivamo ogni giorno. Ci fu spazio anche per un olbiese che di radio ne aveva masticato tanta e ad alti livelli: Francesco Roccaforte.

Poi si cominciò ad attraversare il guado, tentando il passaggio indolore dalla Radio alla TV. E così presero il sopravvento i giochi di una vera star come Gianna Pronzati che si occupava di bambini, i quiz per le scuole di Carlo Bonicatto e i primi programmi in videocassette. Radio Internazionale cominciò a vivere una lenta e inesorabile agonia.

Tutto il resto avvenne successivamente compresi il mio trasferimento a Sassari per fondare la TV di RTF, Radio Tele Finsar, e il mio rientro a Cannigione dopo un anno e mezzo. Eravamo più o meno gli stessi più Giorgio Cabras e un «tale» cronista sportivo romano: Costanzo Spineo. Unica vera novità nel palinsesto un breve telegiornale curato Saverio Minunno.

La bella e affascinante epoca del pionierismo era finita da tempo. Nel 78 avevo 18 anni e il 18 dicembre del 1981, mancava meno di un mese al mio 22° compleanno. Fu il giorno del dramma che segnò le nostre vite di giovani uomini e cambio per sempre l’attività Radio televisiva intestata «Balduina Nuova 2000» 

La mattina del 19 dicembre mi chiamò al telefono di casa (per i cellulari occorreva attendere più di una dozzina d’anni) Gianna Pronzati. «Mauro hai visto il giornale?» «Non ancora – risposi -, che succede?» «Un quotidiano riporta che Cesare è stato rapito. Noi non sappiamo nulla, però tu vieni tranquillo, non ti preoccupare vedrai che Cesare si è solo allontanato e tornerà subito. Ti aspettiamo»

Con il cuore in gola passai per l’edicola. Un solo giornale ne parlava. La Nuova e L’Unione bucarono clamorosamente. L’Isola, giornale sassarese del 24enne Luisito Bozzo (lo stesso proprietario di RTF) uscì a tutta pagina. La notizia, ovviamente, era vera. Fummo interrogati uno per uno. Era importante stabilire con certezza l’ultima volta che avevamo visto Cesare. In Radio e TV era un continuo via vai di investigatori.

Per tutto il tempo della sua prigionia, quasi 100 giorni, abbiamo vissuto e lavorato con il pensiero di Cesare fisso in testa. Nessuno di noi lo aveva mai considerato un capo, un direttore o tantomeno un presidente. Cesare era Cesare. Nel bene e anche nel male, e gli volevamo tutti un gran bene. Di certo è stata una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto. Genio e sregolatezza, artista e tecnico, riso e pianto. E quanto ci è mancato in quei mesi!

Noi ragazzi andavamo avanti con la guida di Carlo Bonicatto che si era trovato di colpo, suo malgrado, a gestire il gruppo di lavoro e tutto il resto. Come raccontano le cronache Cesare Peruzzi fu rilasciato a Villanova Strisaili (Nu) il 25 marzo del 1982. Dopo il suo rilascio, costato oltre 1 miliardo e 200 milioni di lire di riscatto,  lo vedemmo pochissimo. Ormai il destino era segnato.

TV e Radio furono vendute a Niky Gauso. Lo ricordo passeggiare nei giardini. Il “nemico” era entrato in casa nostra. Loro seriosi e un pò vecchi, noi una squadra di ragazzi pieni di creatività. Ci temevano soprattutto quando  TCS accese i ripetitori a Cagliari cosa che avvenne prima che Videolina arrivò nei televisori di Olbia.

Il gruppo interno si spaccò. Alcuni lasciarono, altri non vennero integrati. Io avevo incontrato Gianni Jervolino, un editore alle prime armi che aveva appena rilevato Tele Regione da Francesco Cassita. Ci accordammo durante una cena e malgrado le migliori offerte di Grauso, mantenni la parola e passai a Teleregione. Fui il primo assunto dallo Jervolino editore: matricola 001 in busta paga.

Il resto della storia di Radio Internazionale mi riguarda poco e di striscio anche dopo che Jervolino riuscì a strapparla a fatica all’editore di Videolina e fu collocata sopra gli studi di Teleregione. Da allora, dopo un periodo di pace sotto la guida di Tommy Rossi (Prima del suo ingresso la radio età praticamente fallita), si accesero guerriglie tra poveri per un posto al sole. Con tutto il rispetto per la Radio dei tempi moderni, la grandezza, il mito e il fascino dei primi anni, resta ineguagliabile oltre che irraggiungibile. E quella di allora non ha niente a che vedere con quella di oggi.

Ho voluto scrivere questa piccola frammentaria ricostruzione semplicemente perché non la ricorda nessuno. Perdonerete se l’ho scritta in prima persona come fa il mio amico Costanzo Spineo (accidenti ci conosciamo da quasi 40 anni!).

Non ho scritto per sottolineare il mio nome che ha poca importanza, ma perché durante quella mezzoretta che ho trascorso seduto all’Olbiaexpo per la celebrazione dei 40 anni di Radio Internazionale ho notato un vergognoso silenzio sulle verdi e rigogliose radici del passato a differenza dei fiumi di parole rovesciati sulle foglie decisamente ingiallite del presente. Cesare e Anna, Zumbo e Baleani, gli stessi amici di sempre Lino e Marcello, Franco, Maurizio e perfino Serafino sono stati dimenticati e sostituiti da squallide citazioni autoreferenziali e da interviste mirate all’esaltazione (onestamente poco esaltante) del presente.

Per capire cosa intendo, quando parlo di becero tentativo di cancellare la storia, basta dare uno sguardo alla insulsa pagina di Wikipedia dedicata a Radio Internazionale scritta come il testo pubblicitario di un detersivo. In quella pagina qualcuno ha dimenticato di scrivere il nome di chi l’ha inventata e l’ha resa un mito fino ai nostri giorni: Cesare Peruzzi. In compenso, fateci caso, c’è un solo nome: Maria Pintore e pure in neretto se per caso a qualcuno fosse sfuggito. Ma il picco della infamia è la voce «Storia» dove si esordisce così: «Radio Internazionale Costa Smeralda, è oggi una realtà affermata…» La storia è storia, e non si può cancellare solo perché l’hanno fatta altri. Vale anche per una cosa effimera come Radio Internazionale che non è Radio Maria.

 

PS. Chiedo umilmente scusa a tutti coloro che non ho citato. Vi prego di contattarmi per mail e rimedierò volentieri.

 

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