
Si è concluso con la sentenza di condanna a otto anni di reclusione il processo a carico dei genitori e della zia del bambino segregato nella sua cameretta in un’abitazione di un centro della Gallura.
La sentenza pronunciata in tarda mattina dal giudice Marco Contu, davanti ai due PM Luciano Tarditi e Laura Bassani, è stata accolta “con estrema dignità dagli imputati” come ha detto il legale difensore del padre della giovane vittima, Marzio Altana, il quale ha scelto di non andare oltre nel commento del verdetto.
Come si ricorderà, visto il clamore mediatico della penosa vicenda, la coppia, 47 anni lui, 43 lei, il primo luglio dell’anno scorso, aveva chiuso il figlio nella sua cameretta al fine di andare ad una festa. Per assicurarsi che il piccolo non uscisse avevano persino smontato la maniglia della porta.
Come probabilmente i due avevano già fatto in precedenza, gli avevano lasciato un secchio per i bisogni. Il bambino per fortuna, teneva nascosto un telefono cellulare pur senza sim. E per questo ha potuto chiamare il numero di emergenza. Il suo intento era quello di parlare con una zia (non quella condannata) che abita poco distante ma dall’altro capo del telefono rispose un sensibile appuntato dei Carabinieri che abilmente riuscì a tenerlo in comunicazione mentre inviava sul posto una pattuglia.
Quando i Carabinieri entrarono nella casa trovarono la stanza blindata dall’esterno con la maniglia smontata e poggiata su un mobile. Una casa come tante, non un tugurio di famiglie disagiate come spesso accade nelle vicende borderline. All’interno il bambino mostrò immediatamente ai militari il secchio e anche un tubo di gomma con il quale veniva sistematicamente picchiato.
Il resto della storia è tristemente noto compreso il coinvolgimento nell’indagine della sorella della madre. Oggi la condanna pone la parola fine alla vicenda. La difesa oltre Altana, era composta da Alberto Sechi per la madre e Angelo Merlini per la zia del piccolo che è stato affidato a un centro specializzato per il recupero degli adolescenti vittime di soprusi.