
Sul dibattito in corso a Olbia sui due progetti di mitigazione del rischio idraulico: Canali scolmatori vs Casse di laminazione, pubblichiamo l’intervento di Nicola Sechi, professore di ecologia urbana dell’Università di Sassari.
“La recente approvazione da parte del consiglio comunale di Olbia della variante al Piano di Assetto Idrogeologico mi porta a fare alcune considerazioni. Capisco le ragioni di urgenza che hanno portato l’amministrazione ad elaborare ed approvare il piano. Ma questo non è un piano qualsiasi. Esso ha profonda implicazione sulla vita e sulla salute fisica, economica e psicologica delle persone. Persone escluse dal processo pianificatorio senza sentire le loro paure, necessità e idee, anche di progetto. Ci sono cittadini, profondi conoscitori dei luoghi e del territorio, che talvolta possono dare elementi determinanti per elaborare ulteriori e valide alternative.
L’urgenza ha quindi portato a bypassare le più elementari basi della pianificazione partecipata e, direi, anche ecosistemica. Abbiamo quindi un piano tecnocratico, disgiunto dall’anima della città, e con, a mio parere, elementi critici. Ne evidenzio uno riguardo alle alternative: ne sono state formulate quattro e poi se n’è scelta una con la sola giustificazione economica, anteponendo le cose alle persone, tutta da verificare nella dimensione globale dei costi, presenti e futuri, nel contesto urbano ed ecosistemico.
In questa alternativa vedo addirittura un approccio punitivo in quanto la grande maggioranza dei cittadini onesti e ottemperanti le leggi, interessati dal piano, si ritrovano con edifici in H4, con tutte le implicazioni negative del caso e senza risoluzione dei pericoli. Cittadini quindi trattati come responsabili del disastro in luogo dei veri responsabili.
C’è da considerare che Olbia, come città, nel contesto climatico attuale e peggio ancora in quello che si sta delineando per il futuro, si trova proprio in un luogo critico. Posso ipotizzare che, nella peggiore delle ipotesi, che non è semplicemente (pura illusione) quella del tempo di ritorno dei 200 anni, anche con gli interventi pianificati, finisca sotto acqua una parte rilevante della città. Posso pure ipotizzare, nella mia inclinazione al pessimismo, che alcune delle azioni proposte possano risolversi in boomerang che possano aggravare i danni e crearne degli altri.
Quindi, piuttosto che argini e dighe, psicologicamente negative per i numerosi abitanti che abitano a ridosso di torrenti, canali e future casse di laminazione, che si possono sempre rompere (vedasi l’ultimo esempio di Carrara e la lunga sequenza di casi), avrei scelto, e scommetto altrettanto avrebbe fatto la grande maggioranza del pubblico se consultato, la diversione dell’acqua alluvionale all’esterno della città mediante canali e gallerie, come avviene in molte altre città di tutto il mondo.
Questa alternativa ha una ragione anche per un altro aspetto sempre eluso: lo stato ambientale del golfo. L’occasione per evitare che in esso entrino masse idriche, soprattutto di piena ed alluvionali, che vi immettono gran parte dei carichi solidi e inquinanti che tendono ad interrarlo e ridurne la sua qualità. Ne deriverebbe il ripristino ecologico-ambientale e relativa fruizione naturalistica, turistica, ricreativa e utilizzazione produttiva oltre che persino il possibile ritorno della balneazione.
Il golfo è parte integrante della città e non corpo estraneo, discarica gratuita, buono solo quando si deve parlare di interessi economici, traffici, ormeggi. Si è persa l’occasione per un intervento complessivo, ecosistemico e definitivo in un quadro di sostenibilità urbana ed ambientale, terrestre e marina, oltre che di pacificazione sociale. Auspico una riconsiderazione”.
Nicola Sechi, professore di ecologia urbana dell’Università di Sassari.