
Oscar non è più di questa vita. Mille volte ho scritto di lui per raccontare storie di calcio di bambini di periferia, che secondo me meritavano di essere raccontate. Non una volta, non una sola volta, quando in campo c’era lui, che io abbia sprecato parole a descrivere azioni, goal, vittorie o sconfitte, perché con lui non era necessario, lui vinceva sempre, anche quando la sua squadra tornava a casa con un risultato negativo.
Raccontavo di gesti sportivi, di strette di mano, di scuse porte alle squadre avversarie per qualche intervento poco ortodosso. I suoi bambini erano sempre sereni e sorridenti in tutte le situazioni, proprio perché coltivava con grande convinzione il principio per cui c’è un tempo per imparare e un tempo per vincere e quello dei più piccoli era sicuramente il primo. Il Fair Play per lui non era una regola imposta dall’Uefa ma uno stile di vita, che fin da piccolo ne aveva fatto una persona speciale, la cui amicizia era da considerare un privilegio assoluto per chiunque.
L’avevo visto nascere e poi crescere nella strada sotto casa, sempre con una palla tra i piedi a sparare bordate contro le saracinesche o le auto in sosta. Poi, una volta adulto, l’avevo voluto al mio fianco, quando insieme ad altri amici decidemmo di far partire una nuova avventura per dedicare ai bambini qualcosa di speciale, qualcosa che andasse molto al di là dei freddi numeri riportati sui referti arbitrali.
Qualcosa che avesse a che fare col garbo di una volta, con l’educazione a tutto tondo, specie quella civica, che nessuno ricordava più dove stesse di casa. Col passare degli anni, il calcio alla fine era diventato solo un pretesto per stare assieme e condividere le gioie che solo i più piccoli sanno regalare. In dieci anni di allenamenti e partite vissuti uno a fianco all’altro, non l’ho mai sentito una sola volta alzare il tono della voce per rimproverare qualcuno. Perché Oscar non aveva bisogno di urlare per catalizzare l’attenzione.
I bambini stavano sempre ad ascoltarlo come incantati perché era dotato di un carisma naturale che li conquistava dal primo minuto. Ha cresciuto una generazione di bambini straordinari, divenuti ragazzi in gamba, che saranno uomini per bene. Perché non esiste solo la Serie A dei calciatori, c’è anche quella degli uomini, e tutti quelli cresciuti da lui, ne faranno sicuramente parte. L’avevo visto nascere, Oscar, e l’ho visto anche morire, provando un dolore che mi ha lacerato l’anima. Per lui ho sposato il pensiero di Montanelli che quando si trovò a commentare lo strazio provato per i caduti di Superga, disse “loro non sono morti, sono solo in trasferta”. Chissà.
Mario Bassi