
Il 3 dicembre del 1922 è un giorno che ha segnato la storia di Olbia. Un giorno in cui la città, allora chiamata Terranova Pausania, e i suoi abitanti socialisti e antifascisti subirono in prima persona e per la prima volta la violenza e i soprusi del nascente regime fascista.
La Marcia su Roma si era tenuta da poco più di un mese e il potere fascista non si era ancora consolidato: l’episodio è stato raccontato e reso famoso da Emilio Lussu nel suo “Marcia su Roma e dintorni” e richiamato in altre opere, come in quella dedicata all’onorevole Giacomo Pala, strenuo difensore del porto di Olbia, scritta da Giovanni Forteleoni.
Terranova Pausania era allora una piccola città di circa 8.000 abitanti, composta in prevalenza da antifascisti ad eccezione di alcune famiglie di commercianti. Queste si misero in contatto con i fascisti di Civitavecchia e organizzarono una spedizione punitiva in occasione dell’inaugurazione del gagliardetto e della fiamma di combattimento della sezione del fascio di Terranova.
“A capo dei fascisti di Terranova – si legge nella relazione del prefetto di Sassari sull’accaduto – eravi l’assessore comunale Giovanni Rojk anima di tutto l’accaduto, i figli, il consigliere comunale Menetti Peppino, l’assessore Lupacciolu Martino e fratello, certo Miuccio Farina e altri”.
Alcuni esponenti antifascisti furono condotti in piazza Regina Margherita e qui costretti a bere l’olio di ricino. Tra questi l’avvocato Antonio Sotgiu che fu riportato a casa in barella per le percosse subite e che indirizzò ai fascisti la frase “Ma le idee non si cacano” dopo essere stato deriso per gli effetti dell’olio di ricino e costretto a pronunciare frasi inneggianti a Mussolini e al fascismo.
Il sopruso subìto da Sotgiu viene riportato (ma minimizzato) dalla Nuova Sardegna dell’epoca e dalla relazione del prefetto di Sassari.
Alessandro Nanni, futuro sindaco ed esponente di spicco dell’antifascismo olbiese, sfuggì a quella giornata di violenza. Nanni fu continuamente mira delle attenzioni durante il Ventennio e sono rimasti noti i versi che i fascisti gli “dedicavano”: Con la barba di Nanni farem gli spazzolini per lucidar le scarpe a Benito Mussolini.
Queste le parole con cui Emilio Lussu raccontò ciò che subì l’avvocato Sotgiu:
“Fra i catturati, v’era uno dei maggiori esponenti dell’opposizione al fascismo, un avvocato socialista-democratico. Aveva sessant’anni ed era malaticcio. La preoccupazione per una famiglia numerosa lo avevano indotto, quella mattina, ad una sottomissione che non aveva avuto bagliori di eroismo.
(…) Finiti i battesimi, il comandante fece collocare una grande tavola al centro della piazza. Poscia, invitò l’avvocato a montare sul tavolo e fare un discorso inneggiante a Mussolini. (…)
L’avvocato fece appello a tutta la dignità che gli era rimasta dopo la bevuta dell’olio di ricino e, pacatamente, rispose che non avrebbe parlato. (…) Il comandante ordinò al suo aiutante di somministrargli due moderati colpi di manganello. Mentre si svolgevano queste operazioni preliminari arrivarono due figlie dell’avvocato: una ancora bambina e l’altra di quindici anni (…)
Riuscite a passare tra i ranghi fascisti arrivarono fino a lui e, singhiozzanti, si gettarono tra le sue braccia. L’incontro non commosse il comandante (…)
Fece allontanare le due ragazze e invitò nuovamente l’avvocato a parlare. Nuovo rifiuto e nuovo intervento dell’aiutante di campo. Neppure stavolta il vecchio pronunciò un solo lamento. Le figlie, tra la folla, gridavano: . (…)
L’avvocato inneggiò. Tutti ridevano. È a questo punto che avvenne l’imprevisto. Pallido, barcollante, l’avvocato sembro ripiegare su sé stesso e, con un fil di voce, gridò al comandante: <Briganti!> e precipitò dal tavolo, come un corpo morto. (…)