Caro Mauro, ho sempre sostenuto che anche una buona classe politica potrebbe non essere sufficiente a difendere un territorio da attacchi esterni ma, allo stesso modo, ho sempre avuto il sospetto che una classe politica inadeguata sia del tutto impossibilitata a tutelare le ragioni delle comunità rappresentate. In un periodo di grandi competizioni fra territori, in cui il locale si confronta e si scontra col globale, in una stagione in cui tutti i territori vorrebbero fare tutto e ogni individuo è quasi un mondo a sé, diventa quasi fisiologico che se un territorio perde i servizi perde, inevitabilmente, gli “enzimi” dello sviluppo.
Può avere risorse e numeri, quella comunità, ma in assenza dei servizi pubblici è destinata a perdere spazi economici, culturali e politici. Qualcuno magari pensa che, comunque, le nostre ricchezze non le toccherebbe nessuno. Io, invece, non la penso così. Gramsci sosteneva che la storia sarebbe un’ottima maestra di vita, ma aveva anche preso atto che ha sempre avuto pochi allievi. Anche in questo caso, mi sembra che la deduzione gramsciana sia da condividere. Infatti,a cosa è servito ricordare lo spopolamento delle cosiddette “aree interne” della Sardegna dovuto alla sistematica e incosciente soppressione di tutti i servizi statali?
Aree interne che non sono più fisicamente tali, se pensiamo che ormai è quasi il 90% della Sardegna a subire quest’opera di desertificazione istituzionale; che paesi come Berchidda, fino a qualche decina di anni fa in ottime condizioni demografiche ed economiche, stanno conoscendo una retrocessione numerica spaventosa e se pensiamo che, da questi centri depauperati, vanno via soprattutto i giovani e che, a causa di questo fenomeno, tutte le aree che distano qualche decina di chilometri dalla costa sarda sono ormai ad altissima concentrazione di popolazione anziana, con tutte le conseguenze indotte da una squilibrata composizione per fasce d’età. In questo quadro generale, brilla per incapacità, in primis, la politica regionale. Mentre la comunità sarda avrebbe bisogno di accelerare tutti i processi di trasformazione dell’economia, in ossequio al principio che il tempo è denaro, assistiamo al pericoloso rallentamento di tutte le procedure ed all’esaltazione della politica dell’annunciazione.
Faccio un esempio concreto: si definisce una proposta operativa che riguarda l’intervento regionale in agricoltura e subito, non appena adottato l’atto programmatico, c’è la corsa di presidente ed assessori a rilasciare interviste nelle quali i programmi non sono considerati come tali ma acquistano, quasi per miracolo, le sembianze di cose già fatte. Per contro, invece, registriamo il tremendo ritardo sull’approvazione del Piano di Sviluppo Regionale (PSR) che, per la Sardegna agricola, è come l’acqua per il viandante del deserto dopo che ne è rimasto privo per una settimana. Per non parlare, poi, di iniziative tanto comiche quanto scriteriate, sintomatiche di un’interpretazione teatrale della politica istituzionale, come la famosa vicenda dell’inaugurazione del magnificato “treno veloce” che dovrebbe unire da tanti mesi (ma non lo fa) Cagliari e Sassari e che, per contro, dopo le scintillanti dichiarazioni rese da Pigliaru e dal suo assessore ai trasporti, è ancora fermo in stazione a Cagliari. Tra l’altro, il famoso “treno veloce” riuscirebbe (nel 2015) a garantire una velocità di crociera di ben 80 (si, ottanta) chilometri orari. Chiacchiere e distintivo!
Se ci trasferiamo, poi, al livello comunale, lo scenario non cambia. Non è né migliore né peggiore di quello regionale: è uguale, sconsolatamente uguale a quello regionale. In campagna elettorale, oltre ad aver visto brillare tante bacchette magiche (che, evidentemente, avevano affascinato ancora l’elettore olbiese) avevamo pure sentito tante parole miracolanti, tanti slogan rituali, tipici del sogno cercato, quello nel quale puoi ottenere tutto ciò che vuoi con naturalezza e con facilità. Era stata dipinta la città nuova, il solito palazzo di vetro, la camminata tutta in discesa, senza salite e senza fermate. Insomma tutto facile e bello, per la felicità degli olbiesi. Adesso, però, una volta svegliati da quel sonno, mi pare che gli olbiesi abbiano poco da festeggiare, perché, oltre a non veder risolti i problemi della città, arrivano quelli di “nuova generazione”, per contrastare i quali non bastano le bacchette magiche elettorali.
Olbia e la Gallura perdono la Provincia e da Olbia sono andati via la sede staccata del Tribunale e qualche furbone cagliaritano sostiene che debba andar via anche la ASL per lasciare spazio ad una sola ASL d’ambito regionale. Ultima spoliazione, sembra essere quella dell’Autorità portuale: grazie al disegno riformatore allestito dal ministro Del Rio, sembra che in Sardegna ne basti una e pare che questa non avrà la sede a Olbia. Come se non bastasse, nel comitato di gestione dell’ente, insieme al presidente (nominato dal ministro) andrebbero a sedere un rappresentante della regione e uno dell’area metropolitana. Cosa sottende questa riorganizzazione in termini pratici? Cerco di semplificare:
il porto di Olbia (cioè il porto passeggeri più importante della Sardegna e, ritengo, d’Italia) non godrebbe più di nessuna forma di amministrazione o di gestione da parte della comunità olbiese, ma sarebbe a totale ed esclusivo controllo del ministro e del presidente della regione. In pratica, gli olbiesi si vedrebbero del tutto spossessati di una loro risorsa e chi è olbiese sa cosa è stato il porto per Olbia e per la sua gente. A questo punto, mi pare di poter dire che urge una riflessione e che se in città c’è ancora (io sono convinto che ci sia) una vena forte di impegno civico motivato e confortato dai saperi, bene, che questa vena si metta in evidenza e faccia confluire le sue energie verso progetti di conduzione della politica olbiese capaci di difendere la città e le ragioni del suo sviluppo a vantaggio, in primis, degli olbiesi e dei sardi.