Il Carnevale olbiese (Su Carrasegare olbiesu) è anche la storia di una tradizione andata “in letargo” per una quindicina d’anni e felicemente riportata all’antico splendore grazie alla passione e al contagioso entusiasmo dell’Associazione “Amici del Carnevale olbiese”, costituita nel 2001. In una foto particolarmente significativa, pubblicata nella gallery in fondo all’articolo, c’è un grande cartello con la scritta in caratteri cubitali W SU CARRASEGARE OLBIESU. E’ emozionante vedere, l’uno accanto all’altro, nel gruppo in posa, due personaggi-simbolo del Carnevale, prima terranovese e poi olbiese: Nardino Degortes Pinzellu, decano delle sfilate in maschera, e Stefano Canu, compianto presidente dell’Associazione che lui guiderà dal 2002 fino al 2012, anno della sua prematura scomparsa.
Oggi Pinzellu ha 92 anni ma ricorda ancora perfettamente le prime feste di Carnevale da lui organizzate, sin dagli anni Cinquanta, insieme all’amico Antonio Piccinnu (noto a Olbia con il soprannome 56), a Miuccio Petta , a Mario “il Ricciolino” e a Ottavio Derosas “Cunnacciu”. Memorabili i travestimenti di Pinzellu: una volta era la vedova in gramaglie che si lamentava accanto a una bara aperta con dentro la rappresentazione perfetta di una salma; un’altra volta sfilò su una carrozza vestito da regina, naturalmente accanto a suo “marito”, il re.
Per i suoi travestimenti Pinzellu non badava a spese. Quando decise di mascherarsi da pasticciere, acquistò chili di biscotti pavesini da offrire al pubblico, inzuppati di crema alla vaniglia o al cioccolato che lui prendeva da un water e da un vasino. Da quando è morta sua moglie, sette anni fa, Pinzellu ha smesso di mascherarsi ma sono ancora in tanti a ricordarlo durante la sua ultima sfilata, a 85 anni, abbigliato da gran dama in abito da sera.
All’Associazione “Amici del Carnevale olbiese”, quest’anno impegnata nella quattordicesima edizione, va il merito di aver risvegliato, dopo 15 anni di “sonno”, una festa molto sentita in passato. Studiosi come Francesco De Rosa, Paolo Toschi. Mario Atzori, Dolores Turchi e Pierina Moretti, hanno ricostruito la storia di Su carrasegare terranovese che aveva inizio il 25 gennaio in coincidenza con la Conversione di S. Paolo apostolo cui è dedicata la prima Parrocchia. Tutte le famiglie, fatta eccezione per quelle in lutto, erano coinvolte nei festeggiamenti.
La domenica nelle case si offrivano vini e dolci alle maschere che entravano e uscivano dando vita a scenette esilaranti. Fra i tipi di maschere si distinguevano quelle dette a bruttu ricoperte di cenci, dall’aspetto pauroso ed altre camuffate con pelli di capra, di montone e di buoi, con funi al collo e numerosi campanacci. Gli abitanti delle campagne preferivano ricorrere a pelli di lepri e di volpi. A scriverlo è Francesco De Rosa, nato nel 1854 e morto a Terranova (il vecchio nome di Olbia) nel 1938. Maestro elementare a riposo, conosciuto come “Mastro Ziccu”, era un personaggio straordinario. Scrittore e poeta, appassionato di archeologia e di tradizioni popolari, collaborò con diversi musei europei e riviste nazionali; era anche in corrispondenza con Grazia Deledda che lo incoraggiò nelle sue ricerche sugli usi e i costumi dei galluresi e dei terranovesi in particolare.
In quegli anni, gruppi di giovani o Società del buon umore organizzavano le feste carnevalesche e si quotavano fino a raggiungere la somma necessaria. Le testimonianze raccolte da Pierina Moretti riferiscono che l’ultima domenica, davanti alle abitazioni terranovesi, si intonava un canto: “A s’andira andira/ch ‘est su carrasegare/chi ogni cosa si àlede”. (A s’andira andira / è carnevale / ed ogni cosa è lecita). Dopo alcuni versi dedicati ai componenti della famiglia, si augurava la buona sorte e si attendevano le offerte. Ma se queste erano deludenti, la serenata si trasformava in sberleffo e si concludeva così: “Tira tira sa colora/dae su lettu a su foghile/Cantu nd’azzie dadu a mie/asi nd’appas dae intro a fora”. (Tira tira la serpe / dal letto al focolare / Quanto ne avete dato a me / altrettanto abbiatene in casa e fuori). Il martedì grasso esplodeva la festa con giochi, balli e scherzi tra le maschere che affollavano le strade. Punto d’incontro era la piazza dove da balconi e finestre piovevano manciate di confettini e frittelle.
Agli uomini, colti di sorpresa, le ragazze toglievano berretti e cappelli che restituivano in cambio di dolci. Nel primo pomeriggio cominciavano i preparativi per il funerale di “Giolzi”, personificazione del carnevale. A lui venivano attribuiti mali e colpe della comunità e per questo doveva essere punito. Qualche volta, per rendere la sfilata ancora più vivace, apparivano due o tre Giolzi. Ogni fantoccio era issato su una piccola botte piena di vino ed avvolto da lunghe frittelle. Il divertimento consisteva nel tentativo di centrarne qualcuno con il laccio, allo scopo di impossessarsi delle frittelle e, soprattutto, del vino contenuto nel barilotto. Infine, fra le note assordanti di una fanfara, il corteo raggiungeva la piazza dove veniva pronunziata la requisitoria che si concludeva con la condanna al rogo e l’immediata esecuzione della pena.
Non mancavano le sale da ballo dove il lunedì, il sabato e la domenica si danzava fino a notte inoltrata. Quella più frequentata, nella Terranova di un tempo, era il Chicchirichì all’ultimo piano del palazzo del cavalier Piro in Porto Romano, dove poi si apri l’Albergo Italia, l’attuale Expò. Nell’orchestrina suonavano i fratelli Secchi, la sala si riempiva di coriandoli e stelle filanti, tanto che si dovevano interrompere le danze per ripulire i pavimenti e poi i balli proseguivano fino al mattino. In una foto, pubblicata in fondo a questo articolo, gentilmente concessa da Marina Forteleoni e Renato Careddu, si vedono le sorelle Piro a una festa danzante in maschera proprio al Chicchirichì.
Durante le sere di Carnevale le vie erano percorse da figure grottesche avvolte in copriletti di seta e lenzuola ben drappeggiate, mentre chi aveva la possibilità indossava costumi antichi, abiti d’epoca, vecchie uniformi, domino e caftani. Nel 1934 Raffaele Balzano col primogenito Giuseppe, grande appassionato di spettacolo, inaugurò il Cinema Teatro Olbia in Via delle Terme, in un locale del suo amico, il cavalier Piro. Anche qui, durante il Carnevale, si organizzavano affollati balli in maschera e il Signor Mario, uno dei fratelli Balzano, preparava nel forno a legna la pizza napoletana che veniva servita calda all’una di notte. (Foto in fondo all’articolo)