Gentile Olbianova,
sono una signora di 68 anni con varie patologie di cui due autoimmuni (sindrome di Sjogren e fibromialgia) che mi causano bronchiti, momenti di forte tensione, ansia e paura di rimanere sola, e disorientamenti. Il 13 marzo 2022, verso le 11, dopo due giorni di malessere generale e fitte dolorose alla schiena e ai reni, pensando si trattasse di qualche calcolo renale mi sono recata al Pronto Soccorso di Olbia.
La signora dell’accettazione sicuramente non deve aver recepito la mia condizione perché ero imbottita di analgesici e, a parte le fitte ogni tanto, ero abbastanza tranquilla. Per varie divergenze sul tampone che ho effettuato dopo il triage (io ero sicura di essere negativa e non avrei messo a rischio altre persone), mi ha urlato contro come una forsennata chiedendomi di andare fuori e aspettare i “canonici 20 minuti” per l’esito. Quel giorno tirava un vento freddo e pungente.
Al mio rifiuto mi ha relegato lontana dagli altri pazienti ma in direzione delle porte scorrevoli, comunicandomi il risultato del tampone (ovviamente negativo) dopo un’ora e mezza. A mio avviso solo ed esclusivamente per pura malvagità.
Nel frattempo, la mattinata era finita e seduta dov’ero ho visto passarmi tutti avanti, proprio tutti, anche chi era arrivato al Pronto Soccorso dopo di me e che non aveva i guai che avevo io.
Verso le 17, vedendo che tutti entravano e io non venivo presa neanche in considerazione, ho alzato la voce e l’infermiere che in quel momento aveva iniziato il turno si è interessato al mio caso e dal codice inizialmente verde mi ha identificato come codice giallo.
Nonostante tutto, continuavo a venire esclusa e solo verso le 22 sono stata visitata e poi messa in attesa. Dovevo infatti aspettare che fossero disponibili i macchinari.
Verso le 23, quando erano trascorse ormai 12 ore di interminabile attesa, esasperata, ho detto a una infermiera (del turno serale) che volevo andare via (nel frattempo altri due pazienti avevano rinunciato alla visita). L’infermiera in questione, con la grazia di un elefante, mi ha preso per un braccio e, noncurante dei miei problemi alla gamba che ha ceduto per la solita fitta dolorosa, mi ha accompagnato alla porta dell’accettazione. Il tutto è avvenuto davanti agli occhi del suo collega che ignorava la situazione.
La donna ha continuato a condurmi verso la porta e alla mia richiesta di aspettare dentro soltanto dieci minuti in attesa che arrivasse a prendermi mio marito, mi ha detto che la sala d’attesa era per i pazienti e che non potevo sostare lì. Lì dove ero rimasta praticamente tutto il giorno.
Non avendomi mai mollato il braccio, mi ha spinto fuori richiudendo la porta alle sue spalle, come fossi il peggior beone da osteria. Vi lascio immaginare come mi sono sentita.
Ho scritto questo perché vorrei che il fatto venisse a conoscenza del sindaco e del primario del Pronto Soccorso al quale chiedo che durante le assunzioni vengano fatti test non solo di professionalità ma soprattutto di umanità di cui, purtroppo, c’è molta carenza.
Le suddette “infermiere” a mio parere (e anche di altri pazienti) dovrebbero occuparsi di altre cose e non stare a contatto con persone sofferenti.
Lettera firmata