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Ancora atti vandalici nell’azienda di Giuseppe Addis chiusa a giugno “per disperazione”

30 Dicembre 2015 ore 22:03 di Mauro Orrù   

I danni per gli ultimi atti vandalici e Giuseppe Addis

Sa Corroncedda è terra di nessuno. Quel budello di strada che porta al campo rom e alla ormai ex azienda di manufatti in cemento della famiglia Addis, prima di affacciarsi su un tratto del fiume Padrongianus, è fuori dal controllo dello Stato da anni. Dopo aver depositato una ventina di denunce per furti e danneggiamenti, Giuseppe Addis, che insieme a  suo padre portava avanti l’attività di famiglia, il giugno scorso era stato costretto a chiudere l’attività.

In pochi anni aveva licenziato uno dopo l’altro tutti i 15 dipendenti e oggi, malgrado il blocco della produzione, la sua azienda continua ad essere oggetto di atti vandalici. Le immagini di copertina testimoniano l’ultima di una lunga serie di intrusioni avvenuta ieri mattina ai danni dell’ufficio.

I “soliti noti” hanno sfondato la vetrina e una porta interna è stata rubata. Dal piano superiore sono scomparse poltrone, alcuni mobiletti e suppellettili rimasti nel piccolo edificio dopo la definitiva chiusura dell’attività.

Giuseppe Addis continua, malgrado tutto, a urlare la sua rabbia. “E’ proprio solo quella che ancora oggi dopo circa 5 anni di devastazione mi fa continuare a denunciare quanto accade. Mio padre – dice l’imprenditore – ha subìto un infarto nel marzo scorso. Di certo tutti i furti e gli atti vandalici che hanno letteralmente distrutto la nostra azienda non sono estranei al suo stato di salute.

Ho scritto e denunciato la situazione a mezzo mondo, al prefetto, al NOE, alla Polizia Municipale e alle forze dell’ordine, all’assessorato all’ambiente del Comune per segnalare il degrado creato dagli occupanti del campo rom, mi manca solo di arrivare al Capo dello Stato – dice sconfortato Giuseppe Addis, 39 anni, laureato in giurisprudenza la cui “colpa” è stata quella di portare avanti l’azienda di famiglia a dispetto del titolo conseguito in anni di studio, non si dà per vinto malgrado sia stato costretto a cambiare lavoro -. La mia è una battaglia senza quartiere che può essere utile almeno per affermare il diritto alla legalità che deve riguardare tutti i cittadini. Anche quelli come noi costretti a chiudere l’azienda per disperazione”.

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