Mario Serra non parlava ma diceva tutto con gli occhi e con le sue grandi mani. Lo trovavi sempre indaffarato, negli spogliatoi di un’Olbia Calcio che oggi esiste solo nei ricordi. Un uomo pratico, diretto, capace di capirti anche senza parole, ben oltre il bisogno di leggerti il labiale. Bastava uno sguardo e lui c’era.
Quelle mani forti e muscolose erano una certezza quando gli spogliatoi profumavano di canfora e sifcamina, quella pomata che bruciava la pelle per tutta la partita. Lo vedevi persino curare le ferite di chi cadeva sul terreno duro del vecchio Nespoli, quando una scivolata si portava via pezzi di pelle e muscolo. Era il primo volto che vedevi quando rientravi negli spogliatoi. Un regno pieno di odori di umanità sudata e di detersivi: il bucato appena steso, le maglie lavate una a una, perché allora non c’erano nomi stampati ma solo numeri che passavano giocatore in giocatore.
Nulla andava sprecato. Le scarpe strausate dei titolari finivano negli scaffali per un giovane pronto a consumarle fino all’ultimo chiodo. E quando i tacchetti si sistemavano a mano, Mario era lì, preciso, attento, a controllare che non spuntassero chiodi all’interno.
Durante l’era di Elio Pintus era una presenza costante. Rimase per un breve periodo anche con Mauro Putzu, poi scelse il pensionamento. “Era stanco, e quindi ha preferito rinunciare – ricorda Putzu -. Ci conosceva da bambini, era affezionato a me ma anche a Bruno Selleri. Ricordo il suo grande amore per il mare. Chiudo gli occhi e li vedo salire sulla grande gru del molo Brin per poi tuffarsi con stile impeccabile”.
Se n’è andato a 91 anni, lasciando dietro di sé ricordi pieni di rispetto e riconoscenza. Lavoratore puntuale, uomo allegro, padre di una famiglia che oggi lo piange con discrezione. Ma a Olbia, chi ha vissuto gli anni del calcio al pallone, lo ricorderà sempre così: sorridente e sempre pronto a tendere la mano.