Ciao Massimiliano (niente Max: il nome piace molto a tua madre), te ne vai senza squilli di tromba, senza clamori, con passo felpato, al di là della stazza imponente. La notizia della tua mancata riconferma nella panca dell’Olbia è arrivata di buon mattino, ma non si è trattato di un fulmine a ciel sereno.
Anche se manca la controprova, chi scrive l’aveva ipotizzato (e l’aveva anche anticipato a qualche esponente del club), ma non perché il tecnico avesse fatto male in questi due anni. Anzi, Massimiliano sarà ricordato per un traguardo storico: l’approdo ai playoff e l’uscita da questa sorta di lotteria senza l’onta di una sconfitta. Quindi, l’allenatore milanese aveva tutte le carte in regola per restare ancora seduto nello scranno più prestigioso della sua carriera.
Solo pochi giorni fa, in un cordiale e graditissimo incontro con i giornalisti, dopo il voto in pagella datogli dai cronisti, a domanda precisa sulla sua conferma per un’altra stagione, lui ha risposto con un mezzo sorriso, neanche tanto mascherato dal pezzetto salepepe che lo caratterizza: “E’ possibile”. Ma, ha osservato qualcuno, è probabile o possibile? E lui, ancora: “Possibile”.
Già, il calcio come la politica che – per definizione – è proprio l’arte del possibile. Lui, forse, l’aveva capito da qualche dichiarazione sibillina del presidente Alessandro Marino, il quale, sempre a domanda precisa, aveva glissato, come quando si manda la palla in calcio d’angolo, precisando che la questione sarebbe stata affrontata a bocce ferme.
E da quell’esternazione del numero 1 della società, avevano preso corpo (anche nel sottoscritto) l’ipotesi che il matrimonio non si sarebbe protratto oltre. Fare l’allenatore con un presidente esigente come Marino, non è facilissimo, al di là delle apparenze e di ciò che (non) traspare al di fuori delle mura di tutto ciò che è Olbia calcio.
Marino sa di calcio, è amico intimo di Tommaso Giulini, è consigliere federale, e alla luce di tutto ciò si sente – un po’ come capita a tutti i presidenti di un club – autorizzato a intervenire su questioni tecniche, senza mai entrare a gamba tesa, ma con tenace insistenza.
Una prova su tutte: il passaggio dal 4-3-1-2, sistema di gioco tanto caro a Canzi, a una difesa a tre, declinata con o senza il trequartista (Biancu è uno dei più cari pupilli del tecnico). Il pressing di Marino, che non poteva tollerare quella caterva di gol che l’Olbia beccava, alla fine ha prevalso.
Massimiliano non ha mai, ma proprio mai, fatto intendere di contrasti con il presidente perché non ama le risse o le polemiche fini a sé stesse, è accomodante, un po’ ecumenico. Per la causa, che poi è il risultato finale (il miglior traguardo nella storia dell’Olbia nella serie C unica), ha sopportato tutto e di più.
Ora se ne va, pare, a guidare la Turris, al posto di Bruno Caneo, un altro sardo. Piazza tosta, quella di Torre del Greco, come tutte quelle del girone C della terza serie. Sembra che abbia già chiesto (al Cagliari) di farsi seguire dal già citato Biancu e Lella.
E noi, di cuore, gli auguriamo di far bene, perché a Olbia – al contrario di qualche altro suo collega assunto dall’attuale gestione – ha lasciato il segno. Massimiliano non sarà un nipotino di Klopp, di Guardiola, o di Ancelotti, ma è una persona seria, un uomo che sa usare il congiuntivo, con il quale puoi parlare anche di argomenti lontani dal calcio. Eppoi, quando uno ama la musica (lui si diletta a suonare la chitarra), ha sempre una marcia in più. A kent’annos, Massimiliano.