Si è appena conclusa la partita tra IlvaMaddalena e Olbia, il risultato – quattro a due – a favore dei maddalenini ci sta tutto e mette a nudo le carenze strutturali e tecniche di una squadra e una compagine che ormai non ha più ne orgoglio né dignità.
In sala stampa il tecnico olbiese non si presenta e rilascia due dichiarazioni tramite i canali ufficiali della società :
“Non è la partita che volevo vedere. Giocando così non arriveremo da nessuna parte. Dobbiamo riflettere tutti e molto, perché il tempo è finito”.
Questo il commento dell’allenatore che lascia tutti un po’ di sasso, però si sa che quando le cose vanno male si cerca sempre un capro espiatorio come se attribuire delle responsabilità fosse la panacea di tutti i mali di questa squadra. Nel caso olbiese le responsabilità vanno spalmate dal primo all’ultimo elemento di questa società. Nessuno escluso.
Una società colpita nei valori, nello spirito di appartenenza, a cui manca la cognizione della realtà. Di contro, chi ha avuto modo di essere presente allo stadio Zicchina di La Maddalena ha trovato come avversario una società e una squadra che vivono gli stessi problemi in classifica dell’Olbia, ma tutti, dal presidente all’allenatore, dai calciatori a quelle figure meno apparenti ma parimenti importanti, manifestano un forte senso di appartenenza e una dote importante come l’umiltà, accompagnata dalla voglia di lottare su tutto e contro tutti.
La compagine societaria del presidente Del Giudice è sembrata una piccola famiglia, al contrario dell’Olbia, dove mancano i pilastri necessari per guardare avanti e pensare che centoventi anni di storia non si possono buttare via alle ortiche.
Sulla centenaria società bianca i primi a essere coinvolti devono essere i calciatori, artefici oggi di un primo tempo inguardabile, degno dei migliori campionati da “casa del fanciullo”. Anche il tecnico Ze Maria deve uscire allo scoperto e prendere provvedimenti. Non basta difendere un manipolo di ragazzi viziati: l’allenatore deve far rivedere ai suoi calciatori il primo tempo della gara odierna, in cui non si riusciva a fare tre passaggi di fila e il primo tiro verso la porta avversaria è arrivato solo al quarantaseiesimo minuto, dopo che i bianchi soccombevano già per 3-0. La società bianca vanta casi di stipendi che fanno rabbrividire il popolo di lavoratori e operai che, con poco più di millecinquecento euro, devono mantenere una famiglia e fare crescere dei figli. Nel frattempo, in squadra ci sono calciatori con emolumenti da dirigenti d’azienda che in campo arrancano malamente.
Infine, non possiamo non fare una riflessione sull’attuale dirigenza, che appare allo sbando totale. Il ritardo nel pagamento degli stipendi, che comunque non può giustificare il risultato odierno, una campagna di rafforzamento inadeguata e inesistente, ma soprattutto gestita da incompetenti che nulla hanno a che spartire con il mondo del calcio, sono segnali preoccupanti. Questi sono i primi ostacoli da superare e da affrontare con coraggio e determinazione.
A partire dall’alto servono valori, umiltà, sacrificio, meno improvvisazione e rispetto per gli sportivi olbiesi e per la città.
Le osservazioni e le critiche da parte dei tifosi, che nascono dopo gare come quella odierna, non devono annichilire dirigenti, staff e calciatori, ma spronare tutti a fare meglio, affinché si possa comprendere che, se c’è critica, c’è ancora un po’ di amore per questa maglia. La dirigenza deve capire che ci sarà sempre una voce o una penna per scrivere e raccontare il futuro, ma mai nessuna gomma potrà cancellare il passato.