OLBIA – L’ex artiglieria si prepara a rinascere come spazio dedicato alla storia millenaria di Olbia, un progetto ambizioso che vede la collaborazione tra la Soprintendenza e il Comune, uniti nell’obiettivo di trasformare quest’area in un simbolo culturale della città. Il piano prevede di portare a termine il restauro e il recupero dei capannoni esistenti, destinati a ospitare i preziosi reperti archeologici, parte dei quali lasciati per anni esposti alle intemperie dopo l’alluvione del 2013.
L’obiettivo condiviso è rendere l’intera zona pienamente fruibile per la comunità, trasformandola in un polo culturale dove storia e modernità si intrecciano. L’ex artiglieria – almeno questo è ciò che è emerso durante il convegno “Olbia. Beni culturali, lavori in corso” che si è tenuto al Museo archeologico – non sarà solo un luogo di conservazione, ma anche uno spazio vivo, capace di accogliere eventi e manifestazioni che valorizzino l’identità storica e culturale della città, proiettandola verso un futuro di maggiore consapevolezza e partecipazione.
Nel corso dei numerosi interventi sono stati presentati i risultati dei lavori eseguiti e i futuri obiettivi per la conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico della città. Il sindaco di Olbia, Settimo Nizzi, in apertura, ha sottolineato il valore del recupero dei reperti storici, ricordando i cambiamenti positivi rispetto agli anni precedenti: “Entrare nella stanza dove sono esposti i resti delle navi romane è già un bel vedere rispetto a quello che era l’anno scorso o due anni fa”.
Un chiaro riferimento all’evidente abbandono in cui versavano le casse che contenevano i relitti. E ha aggiunto: “Capitano queste cose e spero che non capitino mai più, perché tutti siamo una parte dello Stato e quando alcune parti vanno in crisi di personale e di risorse finanziarie, capita che si possano abbandonare delle cose di valore inestimabile. Bisogna imparare dall’esperienza affinché non accada più. L’ente locale (il Comune, ndr), che è una parte importante, deve contribuire. Noi siamo qui per contribuire perché il ritorno che abbiamo dall’esporre qualcosa di bello è per tutti, non solo per Olbia ma anche per la Sardegna e per l’Italia, altrimenti non avremmo avuto tutta questa ricchezza per cui siamo famosi”.
La soprintendente Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Sassari e Nuoro, Isabella Fera, ha ribadito l’importanza di una progettazione a lungo termine che includa il recupero e la gestione del patrimonio, sottolineando il ruolo delle istituzioni nella manutenzione: “Mettiamo al centro di questo evento il patrimonio culturale perché è giusto non darlo mai per scontato. I piccoli passi che si fanno necessitano di una progettazione per il futuro. La fase di gestione e manutenzione non può prescindere da accordi tra le istituzioni: come ha detto il sindaco, siamo tutti pezzi dello Stato”.
Le funzionarie della Soprintendenza, Gabriella Gasperetti e Alessandra Carrieri, hanno velocemente ripercorso la storia del ritrovamento archeologico avvenuto a Olbia tra il 1999 e il 2001 durante gli scavi per il tunnel cittadino in cui furono ritrovate 24 porzioni di scafi e una quantità enorme di materiali archeologici. “In un periodo in cui l’archeologia preventiva non c’era e i progetti di lavori pubblici non erano ancora codificati, gli archeologi della sede di Olbia, tra questi Rubens D’Oriano, hanno dovuto lavorare in condizioni di urgenza ed emergenza”.
In sintesi, mentre i reperti più significativi furono ricomposti all’interno del Museo, tutto il resto fu sistemato in circa 800 casse all’interno di uno dei capannoni dell’ex artiglieria. L’alluvione del 2013, che devastò la città causando morte e distruzione, colpì anche questa area. “Da lì partì un lavoro importante di risistemazione e recupero del materiale e del capannone – ha chiarito la Gasperetti -. Con I fondi dell’8×1000 furono concessi nel 2018 e con un importo di circa 500mila euro si avviarono i lavori. Per migliorare le condizioni dei materiali e per identificare un’area in cui potevano essere sistemati i relitti fu deciso di realizzare una variante in corso d’opera che prevedeva lo scavo di una sorta di canale attorno al capannone nel quale le casse si sarebbero potute sistemare ordinatamente. Siccome i progetti in campo alla Presidenza del Consiglio hanno procedure e amministrative estremamente complesse, dopo parecchi anni, fu ritirato parzialmente il finanziamento della parte che non era stata impegnata e quindi la Sovrintendenza dovette impegnare altre risorse per completare il recupero della struttura. Per poter lavorare all’interno del capannone le casse furono spostate all’esterno per un periodo che si riteneva fosse relativamente breve, tuttavia ciò non è avvenuto”. Durante il convegno, la Soprintendenza ha presentato i nuovi contenitori in vetroresina, progettati per garantire una migliore conservazione dei reperto e la resistenza all’acqua.
Gianluca Zini, rappresentante del Segretariato Regionale SAR, ha spiegato come i finanziamenti del Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020 abbiano permesso di realizzare interventi mirati al recupero delle strutture e dei reperti archeologici. “Abbiamo suddiviso i lavori in due appalti: il primo, da circa 400.000 euro, destinato al restauro architettonico di due tettoie militari abbandonate, il secondo per il recupero e la classificazione delle 800 casse di reperti danneggiati. I lavori sono stati consegnati nel 2022 e terminati a luglio del 2024. Ora i reperti sono custoditi in strutture protette e dotate di attrezzature moderne. Crediamo che questa riqualificazione possa essere il volano per una riconversione culturale e ricreativa dell’area”.
L’architetto Roberto Beraldo, responsabile del progetto, ha illustrato il recupero dei capannoni militari, lunghi 44 metri e larghi 10, costruiti tra le due guerre mondiali. “L’obiettivo era mantenere inalterato il carattere originale delle strutture, intervenendo solo dove necessario. Abbiamo installato sistemi di sicurezza e velari mobili per rendere gli spazi versatili, adatti sia alla conservazione che alla fruizione pubblica. I capannoni possono ospitare reperti, mostre temporanee e incontri culturali, diventando un luogo vivo e accessibile alla cittadinanza”. Il progetto ha incluso anche interventi per migliorare la sicurezza contro i rischi idrogeologici e garantire la protezione dei beni archeologici. Secondo Beraldo “è stato necessario un lavoro minuzioso di restauro per preservare il valore storico degli edifici, mantenendo al contempo standard moderni di funzionalità e sicurezza”.
Il convegno, arricchito dalla proiezione di un video che ha illustrato lo stato dell’arte della sezione museale dedicata alle navi romane con le nuove soluzioni di sostegno in acciaio alle strutture delle navi, è proseguito con gli interventi di Francesco Carrera, archeologo della Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, e dell’architetto Leo Orgiu che ha presentato i lavori attualmente in opera nel sito nuragico di Belveghile. La chiusura è stata affidata alla dirigente Gianna Masu che ha delineato le prospettive future per gli interventi culturali, evidenziando le opportunità offerte dai programmi della comunità europea.